Il potere di un sogno è l’opera prima di Enrico Iodice, autore dal passato di avvocato e dal presente di sognatore: almeno è questa la percezione che si ha di lui leggendo il suo libro e scorrendone, rapiti, le fotografie.
Perché? Basta una frase a catapultare il lettore in una dimensione così intima da diventare surreale, in cui il viaggio è un percorso alla ricerca profonda di sé stessi: “Quando il sogno si accende nell’anima, il suo potentissimo fuoco diviene indomabile e la mente non può far altro che rassegnarsi a obbedire.”
D: Partiamo proprio da qui, dal titolo: quanto è grande il potere di un sogno?
R: Sono convinto che la capacità di immaginare e di sognare rappresenti il più grande dono che l’Universo ha riservato all’essere umano. Il sogno ci apre le porte a mondi nuovi e inesplorati, introducendoci nel nostro naturale percorso di costante evoluzione, dove esso diventa una bussola interiore, guidandoci verso i nostri veri desideri e aspirazioni. Il sogno rappresenta i nostri ideali più elevati e può fornirci una chiara direzione di vita in momenti di incertezza o di dubbio, stimolandoci a migliorare noi stessi, ad acquisire nuove competenze e conoscenze e a espandere i nostri orizzonti.
E quando parlo di sogno, non mi riferisco a una blanda aspirazione o a un desiderio astratto, ma piuttosto a un proposito ardente, ben delineato in ogni particolare, nel quale convergono i nostri valori e le nostre passioni. Il sogno deve essere in grado di generare una visione del nostro futuro direttamente connessa con il senso della nostra presenza su questa terra.
Credo che oggi purtroppo troppe persone adulte abbiano smesso di sognare, rinunciando così al più grande potere creativo che è dato di possedere alle donne e agli uomini, a quel combustibile che dà luce e colore alla vita e che crea un proposito alle nostre esistenze.
In realtà ognuno di noi ha un sogno dentro il cuore, che magari è stato sommerso dalle urgenze della routine o dalle dure sfide che talvolta ci impone la vita; bisogna solo decidere di cercarlo e tirarlo fuori, spolverarlo, per poi coltivarlo e restituirgli nuova vita.
“Sogno” è una parola che è stata maltrattata e fraintesa, spesso associata al concetto di utopia o di chimera irrealizzabile: nulla di più errato! Esso, al contrario, ha grande concretezza, poiché ogni cosa che fa parte della realtà in cui viviamo viene da un sogno. Tutto ciò che è accaduto di grande nella storia dell’umanità, infatti, è frutto di una visione che dapprima è germogliata nella mente di un sognatore, poi è stata condivisa, contagiando con la sua potente energia molte altre persone e infine si è tradotta in realtà.
Come disse Gandhi: “Finché porterai un sogno nel cuore, non perderai mai il senso della vita”, perché avere un sogno nel cuore significa anche avere speranza per il futuro e questo fattore diventa un potente propulsore che ci spinge ad agire e a superare le sfide che immancabilmente si presenteranno nel nostro cammino.
D: L’ambientazione del romanzo è precisa e c’è una ragione: cosa sono le Grave dei Magredi?
R: Quando si parla delle Grave in Friuli (termine che viene dal dialetto nostrano), ci si riferisce a delle aree caratterizzate da ampi depositi di ghiaia e ciottoli, originati dai corsi d’acqua; si tratta quindi di aree pianeggianti e ampie, situate tendenzialmente in prossimità dei fiumi. Oltre al loro valore naturalistico, sono parte integrante del paesaggio e della cultura del Friuli, con toponimi e tradizioni legate a questa particolare caratteristica del territorio.
Le Grave che sono oggetto del racconto hanno però un’ulteriore peculiarità, che le rende uniche: si trovano all’interno di un luogo davvero speciale dove la Natura regna incontrastata e nel quale lepri, rapaci, caprioli, cervi e molti altri animali, vivono in piena libertà. Questo singolare sito geografico, divenuto area protetta e Sito di Interesse Comunitario (SIC), è denominato Magredi.
L’area complessiva dei Magredi, che si estende nella alta pianura friulana occidentale, si espande su una superficie di più di diecimila ettari e ospita un vastissimo patrimonio di flora e fauna, fra i più ricchi del Nord Italia.
Io ho la fortuna di vivere a pochi passi da questa magnifica realtà, che frequento quotidianamente per diverse ore, insieme al mio compagno inseparabile a quattro zampe Nube. Lì ho vissuto in prima persona tutte le emozioni raccontate nel libro…
La Grava dei Magredi in conclusione non è altro che il letto asciutto dei torrenti Cellina e Meduna (che scorrono nel sottosuolo per 360 giorni all’anno!), il quale si traduce agli occhi come una immensa distesa di sassi, che io amo definire “il regno delle pietre”.
Per me è un luogo magico, dotato del tipico fascino che appartiene alle aree desertiche.
D: Chi è la protagonista di questo viaggio nelle Grave? E perché hai scelto di raccontare tutto dal punto di vista di una ragazza?
R: La protagonista dell’avventura è un personaggio immaginario che, nelle pochissime foto che la ritraggono di spalle all’interno del libro, assume le sembianze di mia figlia Miriam che, essendo coetanea di Maira, per l’occasione si è gentilmente prestata a posare nei luoghi del racconto.
Perché ho scelto una ragazzina di 11 anni? Per due motivi.
Per prima cosa ho pensato che se ad affrontare questa sfida fosse stato un ragazzino anziché un adulto, il tenore della sfida avrebbe assunto maggiore risalto.
Poi ho scelto la versione femminile in luogo di quella maschile per rendere omaggio al coraggio delle donne. Infine devo riconoscere che questa scelta mi ha permesso di immedesimarmi ancora di più in quella meravigliosa e incontaminata dimensione che è la fanciullezza, permettendomi così di moltiplicare l’intensità delle numerose emozioni vissute e raccontate.
D: Qual è il tuo rapporto con la natura?
R: Io mi considero un elemento della Natura, così come lo siamo tutti noi, quindi per me la Natura è tutto! Uomo e Natura sono una cosa unica.
Frequentarla di tanto in tanto ci fa bene al corpo e all’anima, ma esserne parte quotidianamente ti porta in un’altra dimensione, quella che più ci appartiene e soprattutto quella da cui abbiamo origine.
Qualche anno fa ho preso la decisione di costruirmi uno stile di vita che mi consentisse di trascorrere ogni giorno diverse ore nella Natura e di avere il tempo per le mie passioni: questo è il motivo che mi ha spinto ad abbandonare la professione di avvocato.
Nella Natura ritrovo la mia dimensione, il mio equilibrio emozionale ed energetico, lì ho anche costruito la mia guarigione da due serie malattie.
D: E qual è il tuo rapporto con il viaggio, reale e/o introspettivo?
R: L’idea del viaggio mi piace moltissimo e mi affascina perché è un concetto dinamico: trasmette l’idea del movimento continuo, della crescita e dell’arricchimento interiore attraverso le esperienze vissute e la conoscenza di nuove realtà. Io vedo così anche la vita: un moto perpetuo contraddistinto dal cambiamento costante, con la consapevolezza e l’intenzionalità di migliorarsi e crescere giorno dopo giorno, dando corso al naturale processo evolutivo della nostra esistenza.
Lo scopo di questo avvincente viaggio che si chiama vita per me è quello di realizzarci pienamente come esseri umani e di portare valore nella vita delle persone.
D: Se dovessi scegliere uno solo dei personaggi che si incontrano tra le pagine del tuo libro, quale ci racconteresti? E perché?
R: La scelta è davvero difficile, perché sono molto legato a tutti i personaggi. Mi hanno tenuto compagnia e si sono rivelati un supporto prezioso per la mia mente, aiutandomi a mantenere la giusta attitudine in un periodo complicato della mia vita.
Certamente il più simpatico tra loro è Spiffero, il padrone dei venti.
Quello che invece si trova in maggiore sintonia con la mia filosofia di vita è certamente Omtir. Questo perché sono fermamente convinto che l’esistenza di ciascuno di noi sia governata ed indirizzata dal modo in cui pensiamo. La nostra mentalità incide in ogni scelta e decisione, dalle più banali legate alla quotidianità, fino a quelle importanti che decidono la nostra sorte nei momenti cruciali. Il nostro modo di pensare e di vedere le cose, finisce per creare la nostra personalità e la nostra realtà. La qualità della nostra vita dipende per una minima parte dagli eventi che ci accadono, che per loro natura sono fuori dal nostro controllo; ciò che ne determina la direzione è piuttosto il modo in cui decidiamo di reagire a ció che ci accade.
Faccio un esempio per spiegarmi al meglio, attingendo alla mia esperienza personale. La malattia può essere vissuta come un castigo ingiusto oppure come un’opportunità per conoscere più a fondo noi stessi ed i valori autentici della vita. Sono due modi diversi di affrontare la medesima situazione, che portano inevitabilmente a delle conseguenze distinte nel modo di vivere e di rapportarsi con gli altri.
Per questo il concetto che Omtir espone a Maira in occasione del suo primo incontro, è un’espressione fedele della mia filosofia di vita.
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