Gruppo Facebook “Mia moglie”: anche veneti e friulani tra gli indagati per foto senza consenso
Scandalo Facebook: tra gli indagati centinaia di veneti e friulani che condividevano foto private delle compagne senza consenso.


Un vasto scandalo scuote il mondo dei social network in Italia e a Nordest dopo la scoperta di un gruppo Facebook con oltre 32mila iscritti, chiamato “Mia moglie”, dove venivano condivise immagini private di donne senza alcun consenso.
La vicenda è emersa grazie alle denunce pubbliche del profilo “No Justice no Peace” e dell’attivista Carolina Capria, che hanno fatto scattare oltre mille segnalazioni alla Polizia Postale. Dopo i primi accertamenti, la piattaforma ha oscurato il gruppo, attivo dal 2019, mentre la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta.
Centinaia di indagati in Veneto e Friuli
Secondo quanto riferito dalla Questura, tra gli indagati figurano centinaia di cittadini residenti in Veneto e Friuli Venezia Giulia, accusati di aver condiviso immagini delle proprie mogli, compagne o conoscenti senza il loro consenso. Molti di questi scatti erano rubati nella quotidianità, al mare, in casa o in auto, altri invece ritraevano le vittime in momenti intimi.
Alcuni autori cercavano di oscurare i volti, ma la maggior parte delle foto veniva pubblicata senza alcuna precauzione, esponendo le donne a commenti volgari, insulti e vere e proprie forme di violenza digitale.
Un “stupro virtuale”
Gli esperti parlano di un fenomeno assimilabile a uno stupro virtuale, dove le vittime subiscono una violenza psicologica e sociale attraverso la diffusione di immagini senza controllo. Il fatto che un numero così consistente di persone provenienti dal Nordest risulti coinvolto ha destato particolare allarme nelle autorità locali.
I reati contestati e le possibili pene
Le accuse spaziano dalla violazione della privacy alla diffamazione, fino alla diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite (art. 612-ter del Codice Penale). Quest’ultimo reato prevede pene da uno a sei anni di carcere e multe dai 5mila ai 15mila euro, aggravate nel caso in cui a diffondere le foto sia il coniuge o un ex partner.
La posizione di Meta
Dopo le segnalazioni, Meta ha provveduto alla chiusura del gruppo.
«Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi o sfruttamento sulle nostre piattaforme», ha dichiarato un portavoce della società proprietaria di Facebook.
Un fenomeno diffuso anche su altre piattaforme
Gli investigatori sottolineano come non si tratti di un caso isolato. Gruppi simili proliferano anche su Telegram, dove la moderazione è più debole e l’anonimato rende più difficile risalire agli autori. Le indagini della Polizia Postale sono quindi estese anche ad altri canali e community, con l’obiettivo di smantellare l’intera rete.
Reazione online e richiesta di controlli più stringenti
La community digitale ha reagito con forza: migliaia di utenti hanno segnalato i contenuti, determinando la rimozione del gruppo in poche ore. Tuttavia, come sottolineano gli esperti, la chiusura di una singola pagina non è sufficiente: occorre un approccio sistemico, che veda coinvolti giustizia, istituzioni e piattaforme per proteggere le vittime e garantire sicurezza nello spazio digitale.