Ogni anno in Friuli VG 2.613 tonnellate di indumenti usati vengono raccolti e avviati a nuova vita grazie al lavoro di tre cooperative sociali aderenti a Confcooperative, la principale Associazione del settore cooperativo. La cooperativa sociale Nascente, di Udine, la cooperativa sociale Querciambiente di Muggia e la cooperativa sociale Karpòs di Porcia, gestiscono complessivamente 594 cassonetti per la raccolta di indumenti usati, sull’intero territorio regionale.
È solo una fetta di un mondo che a livello nazionale ha un potenziale di 50mila nuovi posti di lavoro e percorsi di inclusione lavorativa per 15mila persone svantaggiate. Tanto potrebbe generare una filiera tessile impegnata a dare nuova vita agli abiti usati attraverso il recupero e il riuso di rifiuti tessili e il coinvolgimento delle cooperative sociali forti della loro esperienza trentennale. A stimarlo è Confcooperative Federsolidarietà che, in questi giorni, alla fiera Ecomondo di Rimini ha organizzato l’evento “Sostenibili e inclusive: il valore delle cooperative sociali nella filiera del tessile”, per favorire sinergie e dare vita a un modello nazionale in grado di generare economia, occupazione e riduzione degli sprechi.
Già oggi, ricorda Confcooperative, delle 150 mila tonnellate di rifiuto tessile raccolto annualmente in Italia, oltre un terzo è realizzato dalle cooperative sociali, garantendo così occupazione per oltre 5mila lavoratori, di cui circa 1.500 persone disabili e svantaggiate. E il margine per far cresce questa economia del riuso c’è. Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) nel nostro Paese, ogni anno, circa 630mila tonnellate di rifiuti tessili finiscono impropriamente nello smaltimento indifferenziato che vuol dire discarica o inceneritore.
La filiera degli indumenti usati
Cosa succede, dunque, agli indumenti che migliaia di residenti della nostra regione conferiscono negli appositi cassonetti? «Gli indumenti vengono raccolti operando, nel nostro caso, nell’ambito di rapporti con i gestori del servizio di raccolta rifiuti, dunque le “municipalizzate” oppure i Comuni stessi. In altri casi, poi – spiega Davide Cattaneo, presidente di Querciambiente – ci occupiamo di effettuare una sorta di selezione preliminare, una cernita finalizzata a eliminare rifiuti che finiscono impropriamente nei cassonetti, come libri o giocattoli. Lo step successivo vede la spedizione degli indumenti verso aziende che, a livello nazionale, gestiscono le fasi successive».
I passaggi successivi divergono soprattutto in base alla qualità degli indumenti: «In molti casi il filato è ancora buono anche se l’indumento è rovinato, e questo permette di avviarlo alla filiera del riciclo del filato – dice Paola Marano, presidente di Karpòs –. In molti altri casi, invece, l’indumento è in uno stato sufficientemente buono da poter essere avviato al riuso vero e proprio. In questo caso intermediari successivi acquisiscono il vestiario usato che, in gran parte, prende la strada di Paesi diversi soprattutto quelli emergenti. Fortunatamente, invece, gli indumenti in cattivo stato, irrecuperabili e quindi da smaltire, sono pochissimi».
La sostenibilità economica di questa filiera sta proprio nel riuso: «Gli indumenti recuperati arrivano soprattutto in Africa (in particolare il vestiario estivo, mentre quello invernale spesso va in Europa orientale, ad esempio in Ucraina), dove vengono acquistati e in questo modo il sistema di raccolta si regge economicamente. È un passaggio fondamentale – sottolinea Glauco Gonano, direttore della cooperativa Nascente – perché consente di sostenere una filiera che offre lavoro a decine di lavoratori svantaggiati in tutta la regione e, quindi, di rivestire un ruolo importante come occasione di inserimento lavorativo per tali categorie di persone».
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