Nell’aprile di due anni fa, una donna di 65 anni residente nella Bassa Friulana ha ricevuto la prima dose di vaccino anti-coronavirus Vaxzevria di Astrazeneca, uno dei quattro preparati somministrati in quel periodo durante la seconda ondata del Covid. Tuttavia, da un anno e mezzo, questo vaccino non è più utilizzato in Europa.
Dopo l’iniezione, la donna ha iniziato ad accusare fastidi sempre più persistenti fino a diventare sostanzialmente paralizzata nella parte sinistra del corpo, dalla testa ai piedi. Lo riporta oggi in edicola Il Messaggero Veneto con un lungo ed approfondito articolo.
La prima sezione della Commissione medica ospedaliera di Padova ritiene che “possa sussistere il nesso di causa tra la vaccinazione somministrata e la successiva condizione patologica sofferta dalla paziente”. La donna riceverà un indennizzo che probabilmente sarà di poco inferiore ai mille euro al mese.
La Commissione patavina, che ha competenza sul Triveneto per i casi di reazione avversa legata a trasfusioni e vaccinazioni e determinare gli eventuali indennizzi, ha dichiarato che questo è “uno dei primi in Italia”.
La donna aveva prenotato il vaccino anti-Covid e dieci giorni dopo la vaccinazione ha iniziato ad accusare mancanza di forza negli arti, dolori e formicolii nella parte sinistra del corpo e mal di testa persistente.
Oggi presenta un’emiplegia, una paralisi localizzata in una delle metà del corpo (quella sinistra) e neglect, un disturbo dell’attenzione che si manifesta più frequentemente in pazienti con lesione nell’emisfero destro. Secondo la perizia del medico legale Pio De Angelis, questa condizione è dovuta ai postumi di un’ischemia cerebrale, di una trombosi carotidea destra e a trombosi arteriose diffuse.
La donna si è rivolta all’associazione Diritti del Malato di Udine, che ha avviato l’iter per il riconoscimento dell’equo indennizzo previsto nei casi di effetti avversi delle vaccinazioni. Dopo aver affidato l’incarico peritale al dottor De Angelis, l’avvocato Agrizzi ha presentato per conto della propria assistita la documentazione medica all’Azienda sanitaria Friuli centrale, che a sua volta ha inviato il fascicolo alla Commissione medica ospedaliera (Cmo) di Padova. La CMO ha confermato la menomazione permanente della donna, rilevando il nesso causale
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